Qui di seguito la presentazione della mostra di Vally Valli, a Reggio Emilia promossa dal Lions Club La Guglia – Matilde di Canossa.
Da subito l’amore per il tessuto, a dieci anni a scuola di ricamo dalle suore, a tredici il duro apprendistato presso una sarta di Rubiera. Poi la scuola di taglio e finalmente, a sedici anni, la conquista degli strumenti del mestiere che possono renderla autonoma.
“ Primissimi anni 60 – ricorda Vally – tutto molto facile: esordivo facendo tesoro di alcune regole ma desiderosa di cambiare tante cose che mi avevano imposto, per migliorare a modo mio il lavoro che tanto mi apparteneva”.
L’esperienza presso la sartoria di alta moda “Stella Maris” di Modena la porta ad approfondire la conoscenza dei diversi tessuti e a capire l’importanza della scelta del tessuto rispetto al modello dell’abito, idee con cui riesce pian piano a conquistare la sua clientela. “ Questa “vittoria” – scrive – mi porta a desiderare per la mia clientela e per me accessori adeguati e in perfetta sintonia con ciò che creo, quindi mi avvicino ad altri materiali per esempio pelle per accessori e abbigliamento, studiando nuove tecniche, anche su di essa i risultati sono più che soddisfacenti. Le richieste sono tante, le accettazioni selezionate”.
Esigente, perfezionista, esegue e segue ogni creazione personalmente, dal disegno alla stiratura. Agli inizi degli anni Ottanta la committenza di due importanti clienti, che vivevano tra Bologna e Milano, le offre la possibilità di creare abiti molto importanti con cui, stimolata da richieste molto particolari, arriva a sperimentare soluzioni ardite e molto innovative.
“ In tutto questo “circo” di esperienze – continua l’autrice – un giorno è successo qualcosa che forse non so ben spiegare: senza disegno, senza progetto, prendo in mezzo a tanti un taglio di lino irlandese e di un bel punto di grigio chiaro e un altro grigio ferro e comincio a tirare i fili come avrebbe fatto mia nonna per un ricamo, io invece per tagliare il tessuto perfettamente senza neanche preoccuparmi della lunghezza, rispettando appieno l’altezza del lino. Credo che in quel momento ( mi ricordo perfettamente chinata col tessuto a terra) io inconsapevolmente e qualcun altro perfettamente consapevole, abbia voluto consacrarmi all’arte. Sta di fatto che l’opera si è materializzata via via come se tutto fosse scontato (sapere senza conoscere) e mi ha dato durante la lavorazione grande emozione: il lavoro ultimato si è rivelato l’esaltazione del lino in chiave moderna”.
Da questo momento viene ulteriormente arricchito il suo modo di sezionare il tessuto geometricamente per poi ricomporlo in omaggio alla policromia e alla consistenza che serve alla forma e all’estetica e le consente – scrive “ a livello tattile, smanovrando nel taglio le cuciture, di trasformarlo, di usarlo, di plasmarlo al meglio per quella “macchina” stupenda che è il corpo umano.”
“ Alla metà degli anni 90 – continua – la sartoria era decisamente in crisi; ero sempre più artista e sempre meno sarta. Ovvero prima ero una sarta artista e la clientela non mancava; ora ero un’artista sarta quasi senza lavoro.”
Accetta la proposta di Raffaella Lupi, un’amica romana : organizzare una mostra nella capitale, città da lei molto amata e frequentata grazie al lavoro del marito.
“ Prima di accettare la proposta ho impiegato tre anni, una volta però presa la decisione sono stata irremovibile nel volere qualcosa di eccezionale. Sono stati tre mesi di lavoro indefesso: in collaborazione con mio marito abbiamo realizzato con legno e materiale di recupero 23 manichini alti 2 metri, lasciandoci guidare e stimolare dall’esempio dell’opera scultorea di Picasso. A ogni manichino si dava una identità ben precisa e veniva fatto su misura per l’abito al quale era destinato. Ogni volta che la scultura era terminata io la dipingevo. Dopo tre mesi, il mio “esercito” era pronto. Mi era piaciuto enormemente avvicinarmi alla materia legno.
La mostra piacque molto, alcune persone vennero più volte a visitarla, il “matrimonio” tra Picasso ed i miei abiti incontrava il consenso di tutti, io per la verità ero consapevole di avere molto osato ad avvicinarmi a lui, ma in fondo avevo lavorato solo per cultura, e credo di avere fatto così un piccolissimo omaggio al Grande Maestro.”
Questa sua svolta creativa non fu senza conseguenze per la sua attività professionale.
“ Per quello che riguardava la mia sartoria era tutto cambiato, io ero sempre più orientata verso il pezzo unico, l’opera che non segue la moda ma che esiste perché io lo voglio. Tutto questo lasciava le poche clienti rimaste dapprima perplesse e poi sicure di dover prendere altre strade.”
Ma la scelta – fortemente assecondata e sostenuta dal marito Paolo Nobili, mancato nel 1999 – è ormai decisiva, il suo percorso avviato verso una creatività sempre più libera e autonoma.
La mostra è promossa dal Lions Club La Guglia – Matilde di Canossa, da sempre impegnato nella collaborazione con le istituzioni del territorio nel comune intento di valorizzare l’arte e la cultura della città in tutte le sue espressioni. Si ringraziano per la collaborazione Giovanna Giovini, i fotografi Maurizio Righi e Teresa Mancini, l’architetto Francesca Nasi.
ENGLISH TEXT
Vally Valli dressmaker? Artist? A life in the name of beauty
The exhibition is promoted by the Lions Club La Guglia – Matilde di Canossa, who have always worked in collaboration with local institutions with the intent of promoting the city’s art and culture in all its forms.
Fabric has always been her passion. At the age of ten she attended a nuns’ embroidery school and at thirteen she undertook a demanding apprenticeship with a dressmaker in Rubiera. She then went on to a cutting school where she acquired the skills which would let her finally go freelance at the age of sixteen. “It was the early 60’s – recollects Vally- everything was very easy: when I started off I treasured some valuable rules but I was eager to change many things which had been imposed upon me, to improve my work, which was a part of my being, my way.”
Her experience at the high fashion dressmaker’s “Stella Maris” in Modena gave her the opportunity to widen her knowledge of different fabrics and to understand the importance of choosing the right material for a certain style of dress. Thanks to her ideas she was gradually able to win over her clients. “This “victory” – she writes- led me to look for accessories, for my clients and for myself, which were in perfect harmony with my creations and I started using other materials such as leather for accessories and clothes. I carried out new techniques on these and the results were more than satisfactory. Requests for work were now so numerous that I had to select what I took on”.
She is demanding and meticulous and executes and follows every creation personally, from the drawing board to the ironing. In the early 80’s a commission from two important clients, who lived between Bologna and Milan, gave her the opportunity to create unique clothing and, stimulated by their unusual requests, she started to experiment with daring and innovative solutions.
“In all this “circus” of experience – continues Vally – one day something happened that I can’t really explain: without a design, without a project, I randomly pulled out a length of Irish linen from the midst of many fabrics, along with pieces of light grey and iron grey material and I started pulling the threads just like my grandmother would have done for her embroidery. I cut the fabric perfectly without worrying about the length but fully respecting the height of the linen. I believe that was the moment (I can remember myself as determined, bent over the fabric on the floor) when I decided to devote myself to art, although I was completely unaware of this, someone else was perfectly conscious. The fact is that the work gradually materialized as if it was just meant to be (knowing without understanding) and filled me with immense joy while I was working: the finished work exalted the linen with a modern twist”.
From that moment on she has improved her way of cutting fabric geometrically and then reassembling it, all the while paying homage to the polychromy and texture which are essential for shape and beauty and allow – she writes – “in touching it, “maneuvering” in the seams, to transform it and to use it, to shape it in the best way possible for the wonderful “machine” that is the human body”.
“In the mid 90’s – she continues – dressmaking was definitely going through a crisis; I was increasingly more an artist and less a seamstress. That is to say, before I was a dressmaker artist with plenty clients; now I was an artist dressmaker with almost no work”.
She accepted an offer from Raffaella Lupi, a Roman friend to exhibit her work in the Sinopia gallery in Roma, a city she loved greatly and often visited on account of her husband’s work.
“Three years passed before I accepted the offer, however, once I had made my decision I was determined to do something exceptional. This was followed by three months of tireless work: guided and inspired by Picasso’s sculptures, my husband and I used wood and recycled materials to produce 23 mannequins 2 meters in height. Each mannequin was given a very precise identity and was made specifically for the dress for which it was intended. Every time a dummy was finished I painted it. After three months my “army” was ready. I absolutely loved the experience of getting to know wood as a material.
The exhibition was a great success and some people went to see it several times. The “marriage” of Picasso and my clothes met with everyone’s approval. I was aware that I had taken a risk in getting closer to him, but the truth is that I did it in the name of culture, and I believe by doing so I paid a small tribute to the Great Master.”
This creative turning point was not without consequences for her business.
“As far as my dressmaking was concerned everything had changed, I was increasingly directed towards a unique piece, towards a work which does not follow fashion but which exists because I want it to. This meant that the few clients I had left were at first perplexed before being sure about taking different direction.”
But the choice – strongly seconded and supported by her husband Paolo Nobili who died in 1999 – was by now decided, her direction was orientated towards an increasingly freer and more autonomous creative expression.
Many thanks go to photographers Maurizio Righi and Teresa Mancini, the architect Francesca Nasi, Giovanna Giovini and Vaccari Zincografica for their invaluable help and to the clients who have kindly lent their clothes for exhibitions from 1996 to today (Solisca Pederzoli, Franca and Anna Degoli, Loreta Prenc, Augusta Barozzi, Lorena Galloni, Enrica Ergellini, Federica Boselli, Donata Venturini and Anna Iori)